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Grande naturalizzazione brasiliana: la Corte d'Appello di Roma segue le Sezioni Unite

  • stefanonitoglia
  • 18 nov 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 13 dic 2023

La Corte d’Appello di Roma si adegua alla sentenza n. 25317 delle sezioni unite civili della Cassazione, depositata il 24 agosto 2022, che ha posto la parola fine all’annosa questione della c.d. Grande naturalizzazione brasiliana, cassando la tesi sostenuta dall’amministrazione pubblica tramite il patrocinio ex lege dell’Avvocatura Generale dello Stato

Secondo questa tesi, i cittadini italiani emigrati in Brasile e presenti in territorio brasiliano nel 1889 avrebbero perduto la cittadinanza italiana e, con essa, la facoltà di trasmetterla ai figli, in virtù del decreto cosiddetto della Grande naturalizzazione brasiliana, emanato nel 1889 dal governo brasiliano, che concedeva la cittadinanza brasiliana a tutti i cittadini stranieri residenti in Brasile al momento dell’emanazione del decreto, e ciò a prescindere dall’accettazione espressa della cittadinanza da parte degli stranieri, valendo, per l’amministrazione italiana, anche un’accettazione tacita.

Tra le tante sentenze che rigettano gli appelli del Ministero dell’Interno (va detto che anche prima delle sezioni unite diverse sentenze dei giudici di appello romani li rigettavano), segnaliamo la n. 6396/2022, resa nell’appello R.G. n. 1207/2021 e pubblicata il 13 ottobre scorso.

“Sulla questione di diritto sottesa al presente giudizio, rimessa alle Sezioni Unite in quanto ritenuta di particolare rilevanza, - si legge nella citata sentenza - è intervenuta da pochi giorni la Corte di Cassazione con sentenza n. 25317 del 24.8.2022, confermando i principi già espressi da numerose recenti pronunce della Corte d’Appello di Roma di segno contrario rispetto a quella cassata”.

“In ogni caso, per quanto si osserverà in seguito – prosegue il Collegio -, né la presenza in Brasile all’epoca della grande naturalizzazione dell’avo né la nascita del figlio dell’avo in Brasile in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 555/1912 sarebbero idonei di per sé a comportare una perdita automatica della cittadinanza italiana in capo agli stessi e quindi una interruzione della trasmissione ai discendenti”.

Per essere valida, la rinuncia alla cittadinanza italiana deve essere “volontaria conseguente a una dichiarazione espressa o a un contegno che implica la volontà di avere un legame definitivo con altro stato tramite la cittadinanza straniera o tramite un impiego governativo o lo svolgimento del servizio militare” e non implicita o passiva.

Anche l’acquisto della cittadinanza straniera per nascita, in applicazione dello ius soli, non comporta la rinuncia a quella italiana ottenuta per ius sanguinis, “trattandosi di un acquisto automatico e non oggetto di libera scelta da parte di un soggetto neonato privo della capacità di agire”.

Unico neo di queste sentenze è che nel rigettare gli appelli della pubblica amministrazione i giudici compensano le spese di lite, non tenendo conto dei danni avuti dai ricorrenti, che in conseguenza degli appelli hanno dovuto attendere diversi anni in più per ottenere ragione dei loro buoni diritti e sobbarcarsi a onerose spese aggiuntive. Si spera che la Corte d’Appello su questo punto ci ripensi.


 
 
 

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